Era la seconda metà del XVII secolo quando nel cuore di Mezzocorona fu edificato il Palazzo passato nel 1714 ai Conti Martini in seguito al matrimonio di Teresa De Vescovi con Carlo Martini. Da allora la residenza ha visto una costante stratificazione di stili e di preziosi decori, che riflettono un gusto antico, raffinato e aristocratico, ma strettamente legato ai valori agricoli e della terra, vera ricchezza per intere generazioni di abitanti del Palazzo. A distanza di oltre tre secoli dalla sua costruzione, la residenza continua a esercitare un fascino senza tempo, tanto da sapersi intrecciare senza stridore con l’arte contemporanea.
Guidato da un sentire comune a questi ambienti e agli impulsi del passato, Angelo Maisto (Napoli, 1977) è cresciuto tra le sale del Museo di Capodimonte, della Reggia di Caserta e del Museo di San Martino a Napoli. Fin dagli albori della sua produzione artistica, ha interiorizzato e rielaborato una serie di stimoli legati principalmente alla tradizione dello “Stilleven” (natura morta) fiammingo, ammirandone la perizia tecnica che restituiva ai soggetti la fedeltà della rappresentazione e al contempo un tocco visionario e sognante. Tra lievi inquietudini e delicati equilibri, senza trascurare il lontano punto d’intersezione tra arte e scienza, l’artista ha codificato un peculiare ordine cosmico, dando vita a nuove creature a partire dalla poetica dell’oggetto comune e dall’ibridazione delle cose con le forme naturali.
Ne deriva una selezione dei soggetti condotta con lo spirito del più autentico collezionismo; un’intuizione fuori dall’ordinario, ispirazioni alte e ricercate, e il tempo lento di un’esecuzione minuziosa sono gli ingredienti dell’estetica di Maisto. Il suo percorso di ricerca, cominciato con una paziente classificazione, si apre nei suoi lavori più recenti a una dimensione emozionale.
È proprio il soffio vitale che l’artista riesce a infondere alle sue creature a determinare il loro ingresso nel mondo dei “naturalia”, quasi fossero parte di un’antica Wunderkammer in cui gli elementi naturali sono una quinta immutabile e necessaria. L’artista ci mette quindi a disposizione il suo alfabeto, usando il latino per i titoli delle opere più squisitamente “enciclopediche”, prima di comporre parole, frasi e curiose narrazioni evocate da opere quali “Empatia” o “Richiamo misterioso”.
Si rende così manifesta la volontà di Maisto di farsi demiurgo e portavoce di una nuova storia naturale, in cui, citando Valerio Dehò, l’artista conduce “il popolo muto delle cose dentro un’idea organica dell’arte”. Ed è in grado di creare implicitamente nei suoi lavori una riuscita sospensione del tempo e dello spazio.
Acquerelli su carta e sculture dialogano spontaneamente tra loro e con gli ambienti del Palazzo Conti Martini, aprendo un meraviglioso scenario in cui le cose naturali sono in equilibrio con le cose artificiali, i valori aristocratici con i valori contadini, l’armonia della natura con la forza creatrice dell’uomo.
Camilla Nacci