Mi è successo, osservando i lavori di Federico Lanaro, tutti nessuno escluso, di pensare a una delle opere, a mio avviso, più interessanti e rivoluzionarie della storia dell’arte: Veduta notturna di Toledo di El Greco.
All’interno di questo quadro datato 1601 ritroviamo l’incognita della ricerca del verso giusto, della destra e della sinistra, dell’alto e del basso, del davanti e del dietro e altresì la problematica della presenza dell’osservatore, il limite del quadro che qui pare non esistere e la concezione del segno come gesto inaugurale di un cambiamento.
Non è affatto azzardato pensare che Federico sia partito da qui e da quell’opera che anticipa quel complesso momento culturale, che in realtà non ha date certe e scansioni preordinate, che prende il nome di Romanticismo, per far crescere un processo che è la somma di tutto il suo percorso artistico e che vede l’elemento naturale – spesso l’albero –, e la presenza umana fuori dal quadro – osservatore – e che da nome alla mostra Segnali.
I segnali di Federico non hanno velleità artistica (seppur pare difficile non pensarlo) ma sono semplici punti fermi del vissuto, suoi o di chiunque vi si riconosca, che aiutano a tracciare l’esistenza e a resuscitare la memoria.
I suoi alberi, l’adesivo del cane che vigila, il pianoforte rimasto sul marciapiede, così come la natura reinterpretata con i “trasferelli” ci ricorda un po’ un campo di rovine al cui disordine Federico pretende di sostituire l’ordine, e a cui lui sente il bisogno di dare storia dimentico del fatto che sotto gli occhi, come scrisse Augè, ha il cantiere del tempo nello spazio dove costruire l’inventario di miti e oggetti perduti1: osservatori e osservati si confondono fra loro, quanto teorie interpretative e sequenze storiche, reperti ed episodi mitici.
Infatti, qualsiasi rovina è una macchina mitopoietica capace di narrazioni che si avvale di fantasmi e di esseri perduti in un tempo frusto e consumato, mentre il lontano e il prodigioso sussurrano al pensiero magico o alla leggenda metropolitana, sebbene non vi sia un luogo fisso, perché indeterminati sono gli ascoltatori-lettori di queste storie perdute. Lo stesso tempo che ritroviamo nel percorso di Federico lo troviamo anche mentre osserviamo l’opera dell’artista greco dove il movimento degli alberi e il colore plumbeo del cielo sono chiaramente il segnale di un imminente cambiamento.
Il segnale/segno che osserviamo e ci si presenta davanti e che, nelle opere dell’artista trentino, si danno a vedere istituendo la propria destinazione – il proprio destino – come meta da raggiungere o come sponda su cui rimbalzare.
El Greco ha cambiato il senso delle relazioni umane, alterato l’ordine razionale del mondo, invertito i ruoli e messo le idee dello spettatore sottosopra capovolgendo l’universo.
Federico Lanaro è stato capace, con la pittura, di rappresentare la natura come accezione dello specchio dell’interiorità, luogo dell’esperienza dell’individuo, ansia alla ricongiunzione del Tutto2.
È stato coraggioso nel voler esaltare il suo desiderio di ritrovare un cammino con la semplicità di un albero, perché l’albero è, e sempre lo sarà, un segnale che ci indica dove siamo, e seppur messo a testa in giù, quell’albero ci farà sempre ritrovare la strada.
Il coraggio di invertire la marcia, di scontrarsi con l’equilibrio instabile o capovolgere l’immagine, ecco i segni.
Non sono forse questi i segnali del cambiamento?3
Simona Gavioli
1 M. Augè, Rovine e macerie, Boringhieri, Torino, 2004
2 E. Burke, Inchiesta sul bello e sul sublime, Aesthetica, Palermo, 2002. “Tutto ciò che può destare idee di dolore e di pericolo, ossia tutto ciò che è in un certo senso terribile, o che riguarda oggetti terribili, o che agisce in modo analogo al terrore, è una fonte di Sublime, ossia ciò che produce la più forte emozione che l’animo sia capace di sentire”.
3 F. Lathrop, “Right” and “Left” in Pictures, The Bulrlington magazine for Connoisseur IX, 39, 1906, Pp. 198