Tra le factories di Brooklyn, in un tempo atmosferico sospeso al terzo piano di un edificio industriale, Austin Eddy apre la porta del suo studio, in cui le opere vivono di vita propria.
C'è un momento in cui si può dire che un artista abbia trovato la sua strada: quando le sue opere sono protagoniste assolute del suo studio e diventano ispirazione per un nuovo ciclo di lavori.
Austin Eddy è molto giovane, ma alle pareti, tra gli scaffali e persino sul pavimento delle stanze in cui lavora gli occhi viaggiano instancabilmente da una tela a una carta a un assemblaggio a una scultura, trovandovi una coerenza sorprendente.
Le linee e le forme si rincorrono, oltrepassando il confine della superficie dipinta, per raggiungere l’opera accanto, la tela appesa, la pila di disegni appoggiata.
Saranno le pagine del mio futuro libro d’artista, che ne dite?
ci chiede, mentre anche lui, frenetico, tocca e sposta tutte le cose, ci racconta le sue idee per la mostra che verrà.
C’è persino il posto segreto, quello delle opere non (ancora) finite. Nel mondo dell’invenzione, solo l’artista ha accesso.
Nel lato dello studio non visibile, l’energia che Austin Eddy irradia si incanala e si concentra sul lavoro, soprattutto attraverso la scelta, mai casuale, del colore.
Lì nascono i pensieri più astratti, e le più concrete micro-narrazioni dettate dagli accostamenti tra lampadine e meccanismi di orologio, in quelle opere che s’intitolano “Funghi di Legno” e che del giardino conservano intatta la metafora fiabesca.
Funghi di legno, assemblaggi di AUSTIN EDDY. VAI ALL'OPERA
Giordano e Patrizia Raffaelli con Austin Eddy