Non mi faccio di acidi da molto tempo, ma nella mia vita me li sono fatti almeno 287 volte.
Se nasci negli anni Ottanta nella parte degli U.S.A. in cui la “Bible Belt” stringe di più, cercare di allentare la stretta di qualche buco è inevitabile. Soprattutto se tuo padre è un pastore che suona la tromba classica e tua madre è un’insegnante.
Pensano che sia un alieno.
Forse Joe Grillo, la cintura, l’ha allentata più di altri. Non c’è molto da fare, lui odia lo sport, e così non gli resta che l’arte, fin da bambino: negozi di seconda mano, mercatini delle pulci, vendite di beneficienza sono il primo pozzo da cui attingere arte a piene mani, da cui selezionare, ritagliare, ricomporre. Joe è una calamita per oggetti meravigliosi a cui applicare la tecnica intensiva del collage. L’appropriazione e la trasformazione dagli anni Ottanta fanno parte della cultura americana, dalle arti visive, a quelle performative, alla musica;
Quando cresci in un’era dove sei circondato da loghi ogni secondo e ovunque tu vada, questo genera un impatto su di te, che tu lo voglia o no. Disegno molte cose ripetitivamente. Mi piace ripetere. Mi piace la ripetizione.
Così, anche nelle opere di Joe Grillo ricorrono alcuni elementi iconografici che filtrano la società in cui è cresciuto e l’ambiente in cui vive: un plotone di “American Eagle”, pipistrelli, marchi di merendine, robot, qualche riferimento agli stupefacenti e ai supereroi degli anni Novanta. Eppure Joe Grillo è un supereroe contemporaneo, dotato della giusta libertà mentale, per vivere - e trascinare - nella sua dimensione.
Michael Toomral